Gianpietro Séry

Appuntamento competenza agio

(Pubblicato su "Il Quadrangolo", numero 1, marzo 2000, pag. 24-25, ed. Itaca)



Si chiarisce ogni giorno di più la natura della scuola del comando, dove tutto è possibile: basta avere il progetto, le risorse, la strategia per farlo.
Là dove l'esperienza di Freud diceva che educare è un impossibile (come amare, governare, curare, sapere), ora la scuola confessionale di stato dice che tutto si può fare: basta indicare a maggioranza il giusto metodo di gestione.
La differenza è descrivibile nel passaggio dal pensiero sano del trattare bene in una relazione alla teoria di un efficiente puro democratico gestionalismo.
E io, in-segnante, chiamato da qualcuno come socio nell' atto di entrare con soddisfazione nel segno della realtà, che sono ?
Così meco ragiono.
1- Professione docente come appuntamento.
Ventidue anni fa varcavo per la prima volta la soglia di quell' Istituto Tecnico Statale che ancora oggi costituisce la meta del mio muovermi mattutino.
La varcavo da giovane insegnante appena laureato e desideroso di "imparare il mestiere".
La varcavo con l'aiuto inaspettato di un vecchio Preside nei suoi ultimi anni di lavoro e di vita: uomo all'antica, poco menager (sarebbe oggi un tagliato fuori) ma molto consapevole che non tutto si può fare senza che accada in una relazione.
Credo lo aiutasse il passare ogni mattina un quarto d'ora in rapporto con un Altro, nella recita delle Lodi presso un Istituto di "suorine", di cui era divenuto ospite dopo la morte della anziana mamma con cui aveva condiviso gran parte della vita.
Tanto per capirci, il Preside che un giorno, giunto in ritardo con un certo affanno in sala insegnanti, mi trovo di fronte perché come tutte le mattine dalle otto meno dieci alle otto e dieci, attende i suoi docenti per dare l'oro… è un lapsus di scrittura interessante, che non correggo perché aiuta a capire cosa penso di quella persona…Attende i docenti, dicevo, per dare loro personalmente il "buongiorno" e ricordare così l'appuntamento.
Io mi do da fare: mi tolgo velocemente il giaccone, corro all'armadietto ma la sua voce mi interrompe: "si tranquillizzi, non faccia di corsa, non mi piace che i ragazzi vedano insegnanti che arrivano affannati e trafelati a recuperare il tempo perduto, un insegnante è un signore del suo tempo. Casomai la prossima volta cercherà di arrivare più puntuale."
E imparo così che la mia giornata di insegnante è tempo di appuntamenti.
2- Professione docente come competenza.
Basta poco per riscoprire il gesto semplice ma dignitoso e significativo con cui al mattino ha inizio il momento della scuola: quella vocazione che si chiama "fare l'appello".
Credo che ognuno di noi avverta l' estraneità di quella "teoria di mancanza" che a qualcuno fa dire "chi manca oggi ?".
Chiamare ciascuno per nome (non esiste il rapporto con "la classe") è l'atto del riproporsi ogni mattina come socio dell' altro, chiedendo non la semplice presenza fisica ma l'assenso a un incontro soddisfacente per entrambi (qualcuno a suo tempo rispondeva "eccomi" e non solo "presente": eccomi, sono qui, corpo e pensiero; altri rispondeva "il tuo servo ti ascolta": servo, cioè un atto di obbedienza al reale che si pone come eccitante, affascinante...)
La vocazione (o appello) è il primo atto che non si oppone al pensiero che stare a scuola possa essere un atto di appuntamento, una società per azioni in vista di un piacere.
Ecco perché anche un semplice ritardo, o una assenza o un qualsiasi altro atto non finalizzato a stare meglio nel rapporto, è giudicato e sanzionato.
Ma questo può accadere solo perché esiste una obbligazione tra qualcuno e me ("molto obbligato" diceva mio padre, quando qualcuno presentandogli una persona, lo chiamava a nuovi legami), una obbligazione cui si viene meno.
Nei rapporti non ci si appella in primo luogo al regolamento di Istituto o alla Presidenza, cioè a una seconda legge esterna e sussidiaria al rapporto (il superio di massa della scuola).
Un caro amico, facendo una lezione a Magistero, a qualcuno che gli disse che non si poteva fumare facendogli notare i diversi cartelli ivi esposti, rispose: "se me lo chiede perché dispiace il mio fumo a lei, io smetto all'istante".
Questa si chiama "competenza": cioè saper agire personalmente in un rapporto per poter fare insieme un cammino di curiosità, responsabilità, iniziativa e soddisfazione.
La competenza è il centro di gravità, la bussola di ogni atto anche finalmente educativo.
Non si impara né si insegna, la competenza: si pone da bambini nell'atto costituito dal pensare che non ci si fa da sé.
E poi si può solo averne cura, cercare di farne memoria e agire in modo tale che ri-accada ogni istante.
3- Professione docente come agio.
Se "un insegnante è signore del suo tempo" mi accorgo che a scuola il tema ricorrente è invece quello della mancanza di tempo: manca il tempo per finire i programmi, c'è poco tempo per via delle occupazioni, si arriva persino a dire che si è perso troppo tempo con le vacanze di Natale !
Ma la scuola, la "scholè" è tempo della pazienza.
E la pazienza è la virtù di sapere agire per essere soddisfatti: il tempo non è mai né troppo breve né troppo lungo, né troppo veloce né troppo lento.
Il tempo è semplicemente solo quello necessario al rapporto per poter concludere in una meta soddisfacente per entrambi.
Cioè il tempo dell'agio: agio come ricchezza (attesa di soddisfazione nel recepire ciò che viene proposto) e agio come spazio per muoversi liberamente nel rapporto (in base alla domanda propria e alla eccitazione della offerta mediata da ogni singola materia: quella che un tempo si chiamava "motivazione").
Tempo non quantificabile a priori, da qui la "scholè", perché la predittività della scienza non è applicabile alla persona, al suo pensiero e ai suoi rapporti, con buona pace di tutti.
Ed è così anche per la scuola confessionale di stato tempo di concludere, con soddisfazione di tutti, riconoscendo finalmente (ben distinta dalla professionalità educata nei corsi di aggiornamento e di formazione) l'unica risorsa possibile: la competenza di almeno un insegnante.

 

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