Gianpietro Séry

Memoria: la bisaccia del pellegrino
(Memorie e Affetti)


Appunti dalla relazione al Convegno Diesse di Piacenza "La memoria e la scuola" 
12-13 ottobre 2001

 

1- la bisaccia. 2- memoria e memorie. 3- affezione e desiderio. 4-memorie, oblio e imputabilità. 5- essere uomo è essere figlio. 6- la memoria è la voglia (volontà) di "ri-petere" la soddisfazione.

1- la bisaccia.
La memoria non è un sacco.
Non è un sacco dentro il quale si rovesciano disordinatamente grandi o piccole quantità di cose per poi ficcarci dentro le mani e ritrovarle su comando al momento voluto (schema memorizzazione-conservazione-performance).
La memoria somiglia piuttosto a una bisaccia da viaggio, da cui è possibile trarre ricchezze nuove e ricchezze antiche. Una bisaccia: era la sacca doppia (bis) in stoffa o pelle che accompagnava il pellegrino del medioevo.
Ogni volta che affrontiamo il tema della memoria è come se ci trovassimo davanti a una bis-realtà, una duplicità che facilmente si trasforma in ambiguità: si avverte subito nel nostro parlarne, nei diversi approcci che se ne danno, nella sensazione di vaghezza che spesso accompagna il nostro discorrerne.
La doppiezza della memoria che spesso le impedisce di essere comprensibile, completa e fruibile ricchezza, sarebbe facilmente rimediabile se noi non perdessimo la voglia di osservare questa realtà nella totalità dei suoi fattori:
il primo: la memoria nel suo aspetto di annotazioni consapevoli di ognuno di noi (in grado anche di identificarci coscientemente come individui nella storia, nel tempo e nello spazio) facilmente rintracciabili e fruibili;
il secondo: la memoria costituita e attiva di accaduti, di rapporti e di pensieri (non meno reali, a tal punto che quando rimossi ritornano, riemergono prepotentemente con segni o "sintomi") non riconosciuti dalla nostra coscienza e quindi resi non disponibili (ciò che Freud chiamava, bene o male, "inconscio": in relazione appunto a un "non-riconoscimento").

2- memoria e memorie.
Da quella dualità divenuta doppiezza derivano i diversi modi filosofici e comuni di descrivere la memoria (dal legame platonico con l'iper uranico divenuto perversamente "sublime", sino al puro meccanismo dell' androide) che noi solitamente conosciamo.
Negli studi delle psicologie rintracciamo facilmente diverse piste battute, ma tutte riconducibili a una lettura parziale dell'avvenimento totale che la memoria è.
Alcuni esempi.
Nel gestaltismo: la memoria è ridotta a struttura percettiva di un insieme interpretato come tendente al semplice e al regolare (senza nessi associativi).
Nel comportamentismo: ritroviamo la non distinzione grave tra memoria e apprendimento, ferita che ha segnato tante "memorie" scolastiche.
Nel cognitivismo: l' apparente contestazione di quella unicità ma nella sua nuova fuorviante riduzione ai tre tipi di memoria che non sono altro che la scissione descrittiva di meccanismi del solo ricordo cosciente (lungo-termine, breve-termine, molto-breve-termine o iconica).
Oggi la scuola italiana girovaga troppo spesso tra questi psicologismi.

3- affezione e desiderio.
Ma come parlare allora, se possibile, della memoria ?
Mettere in relazione tracce mnestiche e motivi o motivazioni può forse già costituire un passo avanti.
Ma è possibile osare di più: cosa che altri ha fatto, legando la memoria alla affezione.
L'etimo di "affectus" ha tra i suoi possibili, il significato di "colpito".
E' lo stesso realismo che suggerisce nei rapporti e quindi anche nella vita scolastica, il lavoro quotidiano dell' ascoltare e lasciarsi colpire.
Tutto il lavoro di "Prasdo" come "Pratica di ascolto", nelle riflessioni sia del dott. Alfeo Foletto che nelle mie, riconduce costantemente al suggerimento che la vita del rapporto e quindi il successo scolastico sono legati alla affezione che genera ascolto. 
E' ciò che ricorda Luigi Giussani quando scrive: "Uno non è uomo se non è percosso dall' evidenza, se non s'attacca"; o ancora riflettendo sul mondo giovanile: "i giovani di oggi li trovo svuotati di energia affettiva".
Questa estate al Meeting di Rimini, il "quotidiano" ricordava un episodio che mi sembra molto utile e significativo ri-prendere qui e ora: ricordava di un giornalista che ad un giovane consapevole di quel proprio svuotamento affettivo rispondeva dalle pagine di Repubblica: "leggi dei buoni libri, leggili e rileggili"… Giussani contraddice e ribatte: "no!… la soluzione è un incontro". Ricostituendo così lo spazio di un rapporto.
Il "quotidiano" del Meeting commentava ancora: conoscere senza attaccarsi alle cose non serve a niente, non serve a vivere: conoscere è una implicazione anche affettiva… altrimenti tutto è uguale e non si è più capaci di apprendere criticamente, di saper vedere quello che vale davvero lasciando perdere il resto. Si conclude con la riduzione del desiderio (da cui nascono o la ribellione o la rassegnazione).
Parlare di una affezione in relazione alla memoria è molto più significativo che legare la memoria a una o più generiche "motivazioni".
Ma occorre anche un passo ulteriore e definitivo.
Che è dato a mio avviso dalla parola "desiderio".

4- memorie, oblio e imputabilità.
Il passo che definisco come definitivo consiste nel riconoscere la memoria come atto imputabile e non riducibile a un meccanismo cognitivo o a strategie comportamentali. 
Nell'oblio sembra storicamente più facile riconoscere, almeno in alcuni casi, l'imputabilità.
E' già di Cicerone l'espressione "deponere aliquid ex memoria" Deporre, de-costituire qualcosa o qualcuno dal luogo della propria memoria.
E' evidente che "deporre" e "de-costituire" non sono meccanismi subiti ma atti compiuti in piena responsabilità e quindi imputabilità.
D'altra parte anche nel dire comune della frase "bevo per dimenticare": il "bere per" rende il bere atto individuale, scelta, decisione.
Ma non basterebbe ancora: occorre riconoscere l' imputabilità non solo dell' atto dell' oblio ma anche dell'atto del ricordare.
Ne sono esempio debole ma significativo i "Memoriali": gli aiuti (presenze, atti e non richiami esortativi) alla memoria.
Ne è esempio più chiaro quel lavoro personale che riprendendo con altri cura di sé e del proprio pensiero, è capace di ri-costituire la memoria anche dei più lontani accaduti della propria infanzia, de-costituiti un giorno (imputabilmente) da quella che Freud chiamava (come l'atto di spostamento di una vettura in divieto) con la parola "rimozione".
Quindi imputabilità nell'atto dell'oblio come nell'atto del ricordare e, quindi del suo pre-accaduto, il memorizzare.
Sarebbe importante che alla scena muta dello studente davanti al comando del "devi ricordare tutto ora !" tipico di certe interrogazioni, corrispondesse nel docente la consapevolezza di un tacere che va riconosciuto anche come sanzione. Perché avere cura dell'altro implica il volergli fare compagnia nella ri-capitolazione della sua bisaccia: lavoro che segue un suo tempo che non è quello dell'orologio o della unità didattica ma il tempo necessario a concludere in soddisfazione (reciproca).

5- essere uomo è essere figlio.
Ciò che l'oblio e il ricordo primariamente e imputabilmente colpiscono è il giudizio che non ci si è fatti da sé, la memoria che il bene è qualcosa nei confronti del quale occorre agire in modo tale da poterlo ricevere.
Il tempo "privilegiato" dell'oblio è riconoscibile proprio in coincidenza con anni importanti della vita scolastica, nel cosiddetto periodo della "adolescenza".
Invenzione razionalizzante e maligna che relega per anni uomini e donne nel limbo di una posizione non vera (perché "volta le spalle" alla realtà del rapporto) astrattamente trasformata in "tappa" necessaria e obbligatoria di una presunta "età evolutiva".
E' stato in una lezione di Studium Cartello tenuta dall'amico dott. Glauco Genga che ho imparato l'espressione di Dostojevskij (in "l'adolescente") "voltare le spalle", descrivente la negazione del vantaggio del rapporto squilibrato con l'altro, in nome di una "indole" adolescenziale.
Ricordo di avere pensato che i ragazzi a scuola (già dalle elementari a ben guardare, ma visibilmente nelle medie e con evidenza drammatica nelle superiori) vivono il passaggio dal padre (l'adulto) pensato come "padre", cioè come altro da cui posso trarre vantaggio e soddisfazione, alla astrazione "paternità" fino alla "figura paterna" (da cui posso trarre al massimo imitazione prima e scontentezza dopo).
Si assiste a una demolizione, cioè l'abolizione dello squilibrio nel rapporto in favore di una malata parità: come vendere la soddisfazione che deriva dal rapporto soggetto-altro per il piatto di lenticchie di una astrazione di uguaglianza, prima familiare e poi sociale.
Ennesima dimostrazione che dove c'è spazio di "adolescenza" c'è solo spazio di astrazione e di impoverimento (che è ciò che Giussani ricordava come "impoverimento di energia affettiva").
In uno spazio così ristretto, dove è vacante il posto del soggetto, schiacciato tra la negazione di un bene che c'è stato e la non-speranza di un bene prossimo, non c'è più spazio di memoria.

6- la memoria è la voglia (volontà) di "ri-petere" la soddisfazione.
E' ciò che risulta disponibile dentro un lavoro del pensiero che implica alcuni passaggi:
- che ci sia stato in un rapporto un già accaduto di soddisfazione;
- che sia stato riconosciuto in un giudizio e quindi sia stato acquisito;
- che sia ritrovato e riconosciuto dalla coscienza avendone avuto cura;
- che sia desiderabile il farne memoria per rinnovare la soddisfazione.
Ovvero, in altre parole:
- un primo atto soddisfacente;
- il giudizio;
- la posizione di soggetto, quindi di figlio;
- il desiderio.
La prima sottolineatura è quindi su un "già accaduto" o come si diceva prima una affezione a ciò che ha mosso e che muove.
E il passo ultimo è il desiderio che il "già accaduto" accada ancora, ma non ripetitivamente (fissazione) ma su diverse vie, per nuovi passi, nuove occasioni: quindi nuove domande. La domanda è la voce del desiderio ed è ciò che costituisce, istituisce e ri-attua (nuovo atto) la memoria.
Cristo stesso nel suo pensiero, chiedeva un fare che fosse coscientemente e individualmente costituito da un atto di memoria ("fate questo in memoria… di me").
La parola ri-prendere (ri-averne ancora, di guadagno) sembra più adeguata se rimane fortemente legata a quel "re-petita juvant" che non lascia spazi all'errore: si tratta di ri-domandare, agire ancora in modo tale da ottenere un nuovo giovamento, un nuovo guadagno, una nuova soddisfazione.
Da bambini è esperienza comune che fino a quando le cose andavano bene, avremmo ri-domandato all'infinito il racconto della favola che ci aveva affascinato o avremmo ri-preso continuamente con gioia i contenuti dei nostri giochi preferiti: fino all'impararli a memoria per poterli riprendere e fare rivivere nel pensiero rinnovando a ogni istante l'accaduto della soddisfazione.
E' possibile, a questo punto, dire che il ri-prendere è una tecnica e non ha delle tecniche: non si tratta quindi del metodo-strategia ma del metodo che è strada per nuova soddisfazione in quanto parte da un già accaduto come esperienza di piacere che risulta una evidenza per la ragione.
Il più bel ricordo di me, punto fermo di memoria: un Natale in cui, bambino di quattro anni, tendevo la mano verso il nonno materno, per ritrovare il piacere del sapore di una manciata di mentine di zucchero colorato.

 

indice documenti

home page