Gianpietro Séry

Motivazione come pensiero di figlio e di erede.



1. MOTIVANTI E MOTIVATI.

1.1: UN ATTO NON MOTIVATO, SEMPLICEMENTE NON ESISTE.
Può sembrare quasi ovvio che ogni atto umano di libertà sia necessariamente un atto motivato o non sia, cioè non accada (un atto non motivato semplicemente non esiste).
Se la stessa presunta forza della volontà (intesa tassativamente come sinonimo di "voglia") si poteva identificare ragionevolmente con la presenza di una motivazione ("l'atto di volontà è un processo energetico scatenato da una motivazione conscia" -Jung- "la volontà è mossa dai motivi o valori soggettivi" -Lindworsky-) i sistemi motivazionali risultavano ancora più centrali nelle riflessioni educative.

1.2: EDUCARE COME DARE DELLE MOTIVAZIONI.
La diagnosi scolastica della mancanza di questa energia era evidente: mancanza di attenzione alle lezioni, mancanza di memoria nel lavoro personale o nel momento della interrogazione, mancanza di volontà nell'impiegare il proprio tempo nello studio o nell'organizzarlo.
Si diceva già in anni ricchi di illusioni: "perchè il sogno dell'uguaglianza non resti un sogno...agli svogliati basta dare uno scopo." (Scuola di Barbiana: Lettera a una professoressa).
Sull'onda di queste parole ci sono stati tempi in cui mi sono interrogato sul perchè un giovane non dovesse domandare alla scuola ciò che apparentemente domandava all'amicizia e all'amore: una risposta al proprio bisogno di felicità.
E la risposta fu elementare: non vedeva il motivo per farlo ("apparentemente", perchè quello che ho capito negli anni successivi è stato che neppure nei confronti dell'amicizia e dell'amore c'era vera domanda di felicità: ma questa è un'altra storia).
La motivazione mi appariva così (dopo 40 anni nel mondo della scuola come studente e come insegnante) una specie di misteriosa energia, che ancora tre anni fa definivo (con un poco di verità) come "tendenza a fare investimenti affettivi su ciò che nell'incontro con la realtà viene riconosciuto (consciamente o no) come mezzo di possibile risposta alle proprie domande esistenziali".

1.3: MA EDUCARE LE MOTIVAZIONI E' POSSIBILE ?
Non rimaneva che interrogarsi sulla possibilità di educare in qualche modo questa energia motivazionale.
Che cosa offrivano la "psicologia dell'età evolutiva" e i vari testi di pedagogia come strumenti alla mia riflessione ?
Ben poche proposte tradizionali e alcuni problemi concettuali che mi sembra di poter riassumere in qualche modo:
a) sul versante del metodo, una distinzione tra:
- metodi direttivi (motivazioni esterne: con le rituali prese di posizione riguardo l'uso del premio e della punizione);
- metodi non-direttivi (suscitare motivazioni interne o intrinseche);
b) sul versante del soggetto riflessioni su:
- la famosa domanda "chi è il soggetto dell'educazione ?" (cioè se sia l'educatore o l'educando);
- le caratteristiche che dovrebbero identificarlo;
- i metodi per realizzarlo;
c) sul versante delle tecniche proposte pressochè infinite (ispirate alle più diverse scienze e scuole con relative critiche, distanze, distinzioni e litigi tra cognitivismo, comportamentismo, analisi transazionale e sincretismi pedago-psicologici di ogni sorta).
Sembrava insomma che educare la motivazione si potesse, a patto però di essere molto motivati a farlo (perchè era tutto da inventare).
L'amicizia e la compagnia tra chi si poneva queste domande e iniziava questo lavoro, era sicuramente la cosa più buona da salvare.

2. DALLA MOTIVAZIONE ALL'ECCITAMENTO.

2.1: COME SE SI PARTISSE DA UNA MANCANZA.
Bisogna dire che la frase della scuola di Barbiana mi lasciava perplesso: "dare a qualcuno uno scopo... per l'uguaglianza".
In quella frase era come se mancasse qualcosa o meglio, era come se si partisse proprio da una mancanza.

2.2: UNA MANCANZA DA COLMARE.
Una semplice ricerca etimologica su alcune parole latine, che poteva essere di aiuto per comprendere la motivazione, sembrava portare nella stessa, unica direzione: qualcuno è mancante di qualcosa e bisogna darglielo (bisogna: una sorta di "furor educandi").
Si poteva facilmente notare come il latino cogliesse almeno prevalentemente (se non esclusivamente) l'atto motivante del soggetto posto nella posizione del docente): le traduzioni sembravano ignorare invece una presunta motivazione forse più o meno posseduta da chi si trovava come soggetto nella posizione di studente.

2.3: L'EDUCATORE COME UNICO SOGGETTO DELL'EDUCAZIONE.
Incredibile che al lemma "motivazione" si rimandasse direttamente al lemma "motivare".
Il termine MOTIVAZIONE (non esistente in latino) potrebbe risultar qualcosa come "atto, legge del giudicare soddisfacente, del fare gradire, del sanzionare premialmente".
Il che non è poco.
Ma si rimane ancora nel pensiero del docente come unico soggetto dell'educazione.

2.4: I SOGGETTI DELL'EDUCAZIONE SONO DUE E SONO SOCI.
Se si provava invece a sostituire la parola "motivazione" con il lemma "ECCITAMENTO" (era il secondo atto), il pensiero si muoveva su vie più stimolanti.
Sembrava una conferma forte di ciò che stavo elaborando: i soggetti dell'educazione sono due e in qualità di soci.
Ma procediamo con ordine.
Il lemma ECCITAMENTO:
a) non escludeva, ma implicava il significato dell'agire dell'insegnante contenuto nel termine "motivare": come in-segnamento, giudizio, trasmissione oltre che del sapere anche della soddisfazione che ne deriva, atto del fare gradire, del sanzionare premialmente per sostenere un moto;
b) ma ampliava il concetto includendo un qualcosa da "fare uscire", cioè un qualcosa già posseduto dal soggetto studente e che andava appunto "eccitato".

2.5: "ECCOMI !".
La possibile traduzione del "fare alzare in piedi", detto di striscio quasi come nota, mi piaceva molto: risignificava in pochi istanti un gesto tanto reso banale quanto spesso soprasseduto ("chi manca oggi ?") come il fare l'appello. Nel contesto di cui parliamo, non si trattava solo dell' essere presente, ma diventava l'"eccomi", una vocazione laica, un appello personale ad un coinvolgimento autentico con un altro che chiama per nome.

2.6: LA COPPIA FASULLA INTERNO-ESTERNO, INTRINSECO-ESTRINSECO.
La distinzione tra motivazione esterna e interna (con le relative dispute pseudo-psicologiche) mi appariva finalmente per quello che era: astratta, riduttiva, parziale.
La coppia interno-esterno posta come coppia (analoga alle altre tipo bene-male, alto-basso ecc.) faceva perdere il senso a entrambi i termini, fino alla banalità del formalismo.

2.7: ASSOCIAZIONE A SCOPO DI LUCRO.
Il termine eccitamento invece comprendeva un già (magari smarrito o rinnegato) di un soggetto con un già (ritrovato) di un altro: e faceva associazione a scopo di guadagno (possibilmente reciproco).

3. "IN PRINCIPIO ERA LA PAROLA".
Il terzo lemma ritornato nel mio lavorare (terzo atto di pensiero) è stato il lemma "MOTIVO" che rimandava a: "movere", "causa",
"ratio".

3.1: ECCITAMENTO E MOTO DEL PENSIERO (CIOE' DELLA LEGGE DEL GUADAGNO = PRINCIPIO DI PIACERE).
E mi sento di volere conseguentemente proporre così il mio pensiero:
ciò che viene ancora chiamato "MOTIVAZIONE", altro non è che un iniziale "ECCITAMENTO" che può ("può" = nulla lo obbliga e nulla lo proibisce) concludere in un "MOTUS RATIONIS", moto del pensiero intorno alla legge della sua soddisfazione (e quindi moto del corpo).

3.2: DUE SOGGETTI IN DUE POSTI.
Uno solo resta a questo punto il problema dell'atto educativo: rendere ben chiaro che due sono i soggetti e due sono i posti che essi occupano.
Si tratta del posto di soggetto che compete allo studente e il posto dell'altro (soggetto anch'esso) che è competenza del docente.

3.3: IN PRINCIPIO ERA LA PAROLA: IN OGNI INIZIO C'E' STATO UN ALTRO.
Una soluzione alla fine "cattolica" perchè universale.
Una soluzione laica perchè non implica affatto la fede ma richiama semplicemente il riconoscimento di un accaduto nella storia personale della prima infanzia di ciascuno (per questo, universale): all'inizio c'è stato un altro.
Un altro (con la lettera minuscola, un altro qualunque che "è stato" più che "era") la cui "parola" tuttavia ("pensiero-parola-atto") ha costituito, da un corpo-carcassa povero di istinti, un corpo-pulsionale aldilà della natura: "allattandomi mia madre mi ha eccitato, cioè chiamato, a agire secondo il bisogno di venire soddisfatto per mezzo di un altro".

3.4: UNA LEGGE DA PADRE.
Madre (senza essere femministi) per una "Legge paterna" (non maschilista).
Sia anche la madre che il giorno dopo rinnega nel cassonetto o una balia (se ne esistono ancora) o chiunque (uomo o donna) stia dietro il biberon della chicco: in principio qualcuno ha eccitato un moto che può concludere in soddisfazione.

4. INTRODURRE ALLA REALTA' COME FIGLIO ED EREDE.

4.1: DA "APPRENDERE" A "IMPRENDERE".
Non è l'apprendimento il vero tema della psicologia e dell'educazione: non esistono problemi di apprendimento (tranne che in handicap psichico grave).
Ciò che vediamo normalmente (cioè proprio lei, la "mancanza di motivazione") è solo il rifiuto, imputabile al soggetto, di imprendere, cioè di prendere iniziativa nei confronti della realtà.

4.2: UN PROBLEMA DI INCOMPETENZA.
Un rifiuto (imputabile perchè potenzialmente evitabile e quindi esito di libertà) che è descrivibile come una non-competenza ("non è di mia competenza") nei confronti del reale non più recepito come ereditabile.

4.3: UN ACCENNO DA SVILUPPARE: UN ANTICO INGANNO E UN SUCCESSIVO ERRORE.
Qualcuno un giorno ha ingannato qualcuno sulla propria capacità di pensare, sulla propria capacità di essere figlio ed erede, sulla propria competenza ad acquisire per sè tutto l'universo con lo scopo di farne uso con guadagno.
E qualcuno ci ha creduto: ha commesso l'errore di fare proprio quel pensiero di non ereditabilità.

4.4: NON ADOLESCENTI MA MALATI.
L'adolescenza quindi è solo un'invenzione, una tappa presunta di quell'iter inscindibile che è la vita umana la quale non conosce tappe (tantomeno obbligatorie e prevedibili) ma cammino.
Il rifiuto del quattordicenne di essere imprenditore nei confronti del reale (anche quello incontrato a scuola), non è nè normale "necessità di indipendenza e di autodeterminazione" nè mancanza "di voglia o di motivazione": è semplice malattia, la malattia essendo l'incapacità e l'impotenza di trarre dal rapporto con il reale (e con l'altro, reale), lucro e guadagno per sè.
Malattia come impossibilità di essere figlio ed erede: impotenza del "motus rationis", del moto che consegue al pensiero della possibile soddisfazione e del possibile guadagno.

4.5: TRADENTI O TRADITORI: IL RISCHIO NON SOLO EDUCATIVO.
Pei, Carte dei servizi, progetti, corsi (e ricorsi): la scuola-azienda procede verso la qualità di cosa ?
Se il quattordicenne è malato di povertà e privo di motivi per arricchirsi (cioè in-competente) può solo incontrare qualcuno che abbia cura di lui, senza la professionalità dello psicologo o del medico ma con la sola competenza che... gli compete (se poi c'è anche professionalità ben venga): un educatore, un adulto che (se non malato a sua volta) trasforma ogni giorno con il proprio pensiero e con il proprio lavoro e nelle proprie relazioni la realtà ereditata (anche di ciò che in-segna) in una ricchezza fruibile per sè e per altri.
Un adulto eccitante perchè pensa e accetta la sfida del soggetto che gli sta accanto e che gli domanda ogni istante anche solo per cenni (magari facendo il buffone) "mostrami la tua legge, il tuo moto di pensiero, mostrami come posso arricchirmi anch'io nella realtà che sta arricchendo te !.
Mostrami cosa e come puoi passarmi la tua tradizione: starà poi a me il giudicare (questo è il tuo rischio) se tu sia nella relazione con me un tradente-ricchezza o un traditore".
E i traditori si vedono dai frutti perchè non motivano mai: non muovono nè pensiero nè atto.
Solo il moto di pensiero di chi è già figlio ed erede può introdurre nel reale come totalmente ereditabile per ciascuno: non esiste altra "motivazione" per qualsivolgia atto nell'universo (di cui studiare è uno).

 

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