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freudiana


Gianpietro Sery



 

Considerazioni attuali sulla guerra e la morte - 1915
 

L'entusiasmo patriottico della guerra aveva in un primo tempo contagiato anche lui, ma già nella lettera a Lou Andreas-Salomé del 25 novembre 1914 compare la forte preoccupazione e delusione di Freud nei confronti dell'assurdo eccidio che ..."addolora, ci ha sorpresi e spaventati.".
E' uno scritto di Freud non secondario a mio avviso.

1- La guerra.
Tutta questa delusione traccia le righe del presente scritto.
Scritto che presenta tratti estremamente delicati e personali: noi, scrive Freud, "ci cullavamo" nei "progressi tecnici", nei "valori della cultura, dell'arte e della scienza", nelle "norme morali elevate", nella "comunanza tra i popoli civili", realtà che hanno permesso di considerare il mondo la propria casa: "bearsi del mare azzurro e di quello grigio, delle bellezze dei monti nevosi e di quelle delle verdi praterie, dell'incanto della foresta nordica e dello splendore della vegetazione meridionale, dell'atmosfera dei paesaggi legati ai grandi ricordi storici e della quiete della natura inviolata". Poi "la guerra a cui non volevamo credere è scoppiata e ci ha portato la delusione.".
A ben guardare, continua Freud, forse la nostra delusione è solo il risultato di una precedente illusione: la società costringe l'uomo a seguire "precetti non corrispondenti alle sue inclinazioni pulsionali", facendogli vivere una esistenza che "sotto il profilo psicologico, è al di sopra dei suoi mezzi" e rendendolo quindi ultimamente un "ipocrita".
Alla fin fine, comunque, "quel che vi è di primitivo nella psiche è imperituro, nel vero senso della parola..." quindi "... la trasformazione pulsionale, su cui poggia la nostra attitudine alla civiltà, può essere soggetta, transitoriamente o durevolmente, a un processo involutivo dovuto alle circostanze della vita.". La psicoanalisi constata ogni giorno che "gli uomini più acuti si comportano improvvisamente in modo irragionevole e come degli imbecilli..." fino a pensare che "... forse quell' elemento educativo costituito dalla costrizione moralizzatrice esterna... non può essere rintracciato in essi quasi affatto.". Solo il sogno "può darci qualche indicazione sulla regressione compiuta dalla nostra vita emotiva verso uno dei più antichi stadi evolutivi... puramente egoistici.".
Gli impulsi primitivi, ragiona Freud, "devono compiere un lungo cammino evolutivo prima che sia loro concesso di operare nell'individuo adulto" e passano attraverso molti "destini", inibiti, deviati, mescolati, sublimati, svolti in formazioni reattive.
Confessa Freud: "noi veramente speravamo che la grande comunione di interessi realizzata dai traffici e dalla produzione segnasse l'inizio di una tale costrizione, ma sembra che i popoli obbediscano per il momento molto di più alle loro passioni che ai loro interessi. Al massimo si servono degli interessi per razionalizzare le passioni; ricorrono ai loro interessi per giustificare con questi il soddisfacimento delle loro passioni.".

2- Il nostro modo di considerare la morte.
Il secondo fattore di estraneazione dal mondo della violenza e della guerra, viene dal "turbamento" della morte.
Noi "eravamo pronti a sostenere che la morte costituisce l'esito necessario della vita... è un fatto naturale...". Noi invece scartavamo, cercavamo di eliminarla dalla vita ! "Abbiamo cercato di mettere a tacere il pensiero della morte". Fino al punto che l'esperienza analitica insegna che "non c'è nessuno che infondo creda alla propria morte... ognuno di noi è convinto della propria immortalità.".
Solo i bambini non si curano di queste restrizioni.
E' Freud stesso ora a guidarci in un riassunto che egli stesso ci offre per semplificarci il lavoro:
a-  "... il nostro inconscio possiede la stessa incapacità di rappresentarsi la propria morte dell'uomo dei tempi primitivi...", il quale certamente godeva della morte del proprio nemico e non si faceva tanti pensieri da filosofo ("mi pare che in ciò i filosofi pensino troppo... da filosofi...") "... a rompersi la testa col mistero della vita e della morte.". Quando l'uomo primitivo però, arrivò a pensare la possibilità della sua stessa morte, si trovò costretto dall'angoscia a toglierle quel carattere di annullamento totale che pure gli era tanto piaciuto nella morte del suo nemico e si trovò costretto a pensare di conseguenza agli spiriti, alle anime, all'eternità e persino a una eternità prima della vita (reincarnazione).
E come si comporterà il nostro inconscio di fronte alla morte ? "Quasi esattamente come l'uomo delle origini.". Quanto all'angoscia di morte essa "proviene perlopiù dal senso di colpa"
b- "... prova lo stesso piacere per la morte di un estraneo..."
c- "... è ugualmente duplice (ambivalente) nei confronti della persona amata.". Descrive Freud che "... i nostri atteggiamenti amorosi anche più teneri e intimi contengono una qualche sia pur lieve componente ostile, capace di provocare l'inconscio desiderio di morte. Tuttavia il conflitto contenuto in questa ambivalenza non da più origine, come una volta, alla dottrina dell'anima o al'etica bensì alla nevrosi...". E "gli slanci più belli della nostra vita amorosa sono dovuti alla reazione contro l'impulso ostile che avvertiamo nel nostro intimo.".
Mi piace molto la seguente riflessione di Freud: il modo attuale di pensare alla morte fa si che "la vita si impoverisce, perde interesse... diventa come un flirt americano, in cui si stabilisce fin dal principio che nulla può accadere...".
E conclude: possiamo solo restituire alla morte "il posto che le compete... Se vuoi sopportare la vita, disponiti ad accettare la morte.".